“Mi sono sempre chiesto perché la gente faccia tanta fatica a volersi bene. Ho anche compreso che tutto dipendeva da mancanza di socievolezza. Per noi vespisti è bastata una lamiera sagomata, due ruote e un motore per mettere assieme migliaia e migliaia di uomini e donne di tutti i ceti e permettere loro di creare una grande famiglia che, a Viareggio, abbiamo chiamato Vespa Club d’Italia. Da allora la scintilla è diventata fiamma ed oggi i vespisti possono trasferirsi da un angolo all’altro del nostro Paese, da Trieste a Palermo, e sono sicuri di trovare ovunque assistenza e soprattutto amici. I nostri raduni non si sono rivelati soltanto dimostrazioni propagandistiche e spettacolari; soprattutto hanno servito a cementare una fraternità fra gente che qualche giorno prima non si conosceva neppure. Questa è soprattutto, a mio giudizio, la ragione di vita del Vespa Club d’Italia”.
Quando, nel febbraio del 1952, il Vespa Club d’Italia dà vita a un proprio organo informativo, alcuni dei componenti del Consiglio Nazionale, membri storici del sodalizio, vengono chiamati a esprimere la loro visione del mondo vespistico. Le parole che avete appena letto sono quelle vergate, prima col cuore che con la penna, dal vicepresidente Manlio Riva, Presidente del Vespa Club Vicenza dal 1949 al 1960 e principale rappresentante dell’anima turistica del movimento: frasi dalla eccezionale potenza sia pratica che simbolica, ma pronunciate quasi sottovoce per il timore di esagerare, che non hanno bisogno di particolare commento e alle quali nulla è possibile aggiungere.
Manlio Riva, classe 1902, porta con sé una fortissima impronta cattolica. E’ stato boy-scout (a tredici anni, per dimostrare di meritarsi l’ingresso nell’organizzazione dei Giovani Esploratori Italiani deve superare un duro esame: farsi Vicenza-Verona e ritorno in bicicletta), attivissimo nelle organizzazioni sociali cittadine, sempre coinvolto in maniera emotiva nelle proprie attività essendo mosso da un altissimo senso della solidarietà e da una ineguagliata dirittura morale. Non è studioso di prim’ordine, ma sa esprimersi come si deve: negli anni Venti è collaboratore motoristico di “Fonosport - Le Venezie Sportive”, un settimanale realizzato a pochi metri da casa sua, continuando poi la passione per la divulgazione delle notizie in altre importanti riviste di settore.
Dirittura morale, si diceva: da Presidente della Commissione Turistica che nel 1951 indice il “Trofeo del Turismo” (con lui, in qualità di segretario, siede Dino Comin, suo vice anche nel club vicentino) emette - con il beneplacito del Presidente Renato Tassinari - una nota nella quale comunica che il Vespa Club Vicenza non concorre all’assegnazione dell’ambito riconoscimento a tutela assoluta della regolarità delle valutazioni compiute dalla Commissione stessa. Gente seria, insomma.
Nelle sue vene scorre sangue di tre colori: bianco, rosso e verde. Per Manlio Riva, la bandiera italiana è una religione, così come la necessità di ricordare, ogni volta che se ne presenti l’occasione, le migliaia di soldati caduti per la libertà della Patria nelle guerre mondiali, soprattutto la prima. E’ l’instancabile promotore di numerose manifestazioni in cui il Vespa Club d’Italia mostra il proprio respiro di organizzazione veramente patriottica: dal raduno “Sul Ponte di Bassano” del 1952 a quelli indetti per Trieste Italiana nel 1952 e 1954, sino al mantenimento della promessa fatta alla città giuliana, che prevedeva la celebrazione del Congresso Nazionale sotto San Giusto una volta che essa fosse tornata nell’alveo naturale, quello tricolore, dopo anni di instabilità politica e sociale in quei territori. La Repubblica Italiana gli rende omaggio già alla metà degli anni Cinquanta, quando egli viene insignito del titolo di “Cavaliere della Repubblica”.
Rimane quale vicepresidente, al fianco di Tassinari, sino al 1968, lasciando l’incarico ricoperto sino a quel momento. Una volta verificatosi lo scioglimento del Vespa Club d’Italia, nel febbraio 1971, Manlio Riva non può accettare che tutto finisca così, e che le tante opere meritorie dell’associazione vespistica nazionale vengano rinchiuse in un polveroso baule nella soffitta e rimangano al massimo appannati rimpianti di qualche vecchio nostalgico del tempo che fu. Già poche settimane dopo il fatale Congresso di La Spezia decide di rimettere in moto la macchina, non accettando che il vespismo “puro” sia davvero terminato: nel suo modo di vedere, i pochi Vespa Club rimasti avrebbero dovuto serrare le fila e, pur se nelle ridottissime misure possibili, proseguire la propria attività indipendente senza unirsi ai ranghi dei motociclisti.
E’ il promotore del Vespa Club Triveneto, che raccoglie i sodalizi del Nord-Est, quindi del Vespa Club Interregionale, ultimo passo compiuto nel 1973 prima della definitiva ricostituzione del Vespa Club d’Italia. Di questo sarà Presidente sino al 1984, quando al Congresso Nazionale di Venezia il suo posto verrà preso da Roberto Leardi, massimo esponente del Vespa Club Roma. Manlio Riva diviene Presidente Onorario, carica che manterrà sino alla scomparsa, avvenuta con la discrezione che lo aveva sempre caratterizzato, nell’ottobre del 1992.